Ilaria Vigorelli (Università Pontificia della Santa Croce, Roma)
“Dalla preghiera infatti nasce la comunione con Dio” (De oratione dominica, Omelia 1: Ἐκ γὰρ τοῦ προςεύχεσθαι περιγίνεται τὸ μετὰ θεοῦ εἶναι·)
Che cosa significa amare Dio? Come la preghiera configura l’uomo a Dio? A partire da una lettura della prima e della quinta omelia del De oratione dominica e nella luce del confronto con la dottrina sulla preghiera presente nel Paedagogus e negli Stromateis di Clemente di Alessandria, si cercherà di mettere in evidenza come Gregorio di Nissa delinei l’ontologia della somiglianza con Dio procurata dalla preghiera. Si proverà quindi a riflettere sulle differenze poste rispetto all’uso della tradizione platonica della ὁμοίωσις θεῷ, verificando, in un dialogo ideale con Dillon-Timotin (2016), se questi elementi di novità siano stati recepiti da dottrine pagane sulla preghiera.
Dalla discussione con Eunomio sui nomi divini (Padre, Figlio e Spirito Santo), comune a Basilio e Gregorio, la riflessione trinitaria ha, infatti, portato quest’ultimo alla scoperta che la relatività del valore d’uso di un nome permette di mostrare a livello ontologico come il nome rivelato di «Padre» possa essere latore di un significato immanente e relazionale nell’essenza divina, oltre a dire una proprietà di Dio. Inoltre, chi lo pronuncia può dirlo «libero da ogni rapporto particolare», oppure «appropriandosi della relazione» (Eun I,572-573: GNO I,191,14-192,2). Così, nel commentare il Padre nostro (Mt 6,9), o l’Abbà Padre (Rm 8,15), Gregorio esplicita il passaggio da un nome relativo che indicava un dato di conoscenza su Dio a un nome che mette in relazione ed esprime una relazione, la quale si dà a livello di esistenza non soltanto di conoscenza.