Giovanni Manabu Akiyama (Università di Tsukuba, Giappone)
Alla fine della terza omelia del De oratione dominica, Gregorio di Nissa sottolinea la divinità dello Spirito Santo. Secondo il manoscritto più antico (“V”, sec. IX), Gregorio dice: “τὸ δὲ ἅγιον πνεῦμα καὶ ἐκ τοῦ πατρὸς λέγεται καὶ ἐκ τοῦ υἱοῦ εἶναι προσμαρτυρεῖται” (GNO VII/II, 43,1-2: “α”). Benché la nuova edizione di SCh accolga la seconda preposizione ἐκ nel testo, W. Jaeger, nel libro intitolato Gregor von Nyssa’s Lehre vom Heiligen Geist (S. 142), aveva concluso che questo ἐκ era stato inserito nel testo in età posteriore. J. Callahan dunque ha messo questo ἐκ entro parentesi quadre, concludendo che “(questo) ἐκ non appartiene al testo originale di Gregorio nonostante la testimonianza paleografica” (GNO VII/II, xii). Ma poiché non soltanto nei codici greci, ma anche nelle versioni siriache (“Z” e “S”, sec. VI) è incluso questo ἐκ (Callahan, ibid.), non sarebbe impossibile concludere che questo ἐκ sia esistito fin dall’inizio nel testo originale. Vorremmo riesaminare l’argomento di Jaeger, il quale ha pensato che un passo dell’Adversus Macedonianos (GNO III/I, 89.25-90.1, “τὸ πνεῦμα τὸ ἅγιον, ὅτι ἐκ τοῦ θεοῦ ἐστι καὶ τοῦ Χριστοῦ ἐστι”: “β”) si possa considerare parallelo di quello già citato (“α”). Dopo il passo “α”, Gregorio cita un brano dalla Lettera ai Romani di San Paolo (Rm 8,9). Benché il brano “β” infatti derivi da questo passo di Paolo, vagliati i due passi “α” e “β”, ci possiamo accorgere della loro divergenza. È chiaro che la prima parte del passo “α” ricorda i passi giovannei (Gv 14,26; 15,26 ecc.). Potremmo osservare infatti che nel Vangelo secondo Giovanni Gesù parla in termini chiari dei rapporti tra il Figlio ed il Padre. L’apostolo Paolo invece si riferisce alla nozione di “figlio” con riferimento all’“adozione filiale” (Gal 4,5-6; Rm 8,14-16). Se riceviamo il testo proposto da Jaeger quindi, risulterà che alla metà del passo Gregorio abbia sostituito la fonte biblica di Giovanni con Paolo. Secondo il quarto Vangelo invece, Gesù dopo la risurrezione, “soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo»” (Gv 20,22). Questo brano è tenuto a mente da Gregorio nella parte finale di In Canticum Canticorum (GNO VI, 467). Gregorio vi equipara lo Spirito Santo alla gloria, dicendo che “la trasmissione della gloria dello Spirito Santo si attua verso tutto quello che è a Gesù connaturato, cominciando dai suoi discepoli”. In questo modo potremmo spiegare la ragione dell’esistenza dell’ἐκ nel codice più antico sulla base della teologia di Gregorio.